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L’Ospedale Militare Neurologico per nevrosi di guerra (Ferrara)

Le nevrosi di guerra

La prima guerra mondiale, può essere definita come una guerra “moderna”. Moderna perché impiegò molte delle tecnologie frutto della seconda rivoluzione industriale.
Veder avanzare grandi carri armati cingolati, sentire gli scoppi delle granate sparate dagli obici, gli shock visivi ed acustici dovuti agli scoppi ravvicinati, i sibili dei bombardamenti che si tramutavano in esplosioni ravvicinate, le mutilazioni, i corpi inermi rimasti sul campo a pochi metri dalle trincee, i gas tossici che si concretizzavano in nubi, a base di iprite e fosgene, urticanti e vescicanti, furono tutti eventi traumatici di cui furono vittime i soldati.


Non meno traumatica fu la visione della distruzione ambientale, del paesaggio, degli ambienti civili, città, paesi, strade, piazze, ospedali, scuole, fabbriche, parchi, monumenti, la distruzione di una memoria visiva che connotava la storia stessa delle persone, ed anche una evoluzione psichica. Si trattava quindi della perdita di una identità storica, e della propria identità individuale.
Fu guerra di attesa, in trincea, in qualsiasi condizione meteo, sotto l’acqua o nel fango; attesa di un attacco nemico o attesa di un attacco da portare uscendo allo scoperto, sotto il fuoco delle mitragliatrici avversarie o dell’artiglieria pesante. Con un nemico il più delle volte invisibile, con colpi di artiglieria che arrivavano da distanze chilometriche, così come le nubi di gas tossico.


Non esistevano ancora i fotoreporter di guerra a testimoniare pubblicamente le atrocità della guerra.  
Nelle guerre ottocentesche il medico di guerra era perlopiù o un chirurgo o un igienista. Con la prima guerra mondiale la medicina di guerra dovette fare un salto di qualità  facendola divenire una specialità. L’allora vice-direttore del Manicomio provinciale di Ferrara, dott. Gaetano Boschi, diede impulso alla medicina di guerra, grazie anche all’intuizione del collega dott. Emilio Padovani, con l’istituzione delle “Riunioni medico-militari”, aperte ai medici di Ferrara e Rovigo, tenute inizialmente presso l’Accademia delle Scienze di Ferrara, della quale Boschi fu presidente dal 1914 al 1916.


Boschi pose l’accento su tutte quelle forme patologiche, psichiatriche, enormemente diffuse durante la guerra, che potevano assumere connotati clinici analoghi alle patologie psichiatriche più gravi ma che, invece,  più che di  trattamenti psichiatrici tradizionali avevano necessità di cure psicologiche.
Su queste basi si svilupparono le ricerche cliniche, nell’Ospedale di Riserva di Ferrara, a cura del dott. Bruno Modena, dell’equipe del dott. Boschi, sulle tonalità affettive dei malati fisici di guerra.
E, a seguire, la necessità di sgomberare i feriti dalle zone di guerra, per evitare ipotonia nervosa dovuta alla permanenza in un contesto di combattimento.

 

Boschi intuì la necessità di aprire ospedali dedicati alle nevrosi di guerra, fisiche e psichiche, progetto che verrà realizzato nel 1916, grazie alla Sanità Militare, struttura da lui diretta con i gradi di Maggiore medico presso Villa del Seminario, a pochi chilometri da Ferrara. Fu il primo Ospedale Militare Neurologico per nevrosi di guerra.
La residenza estiva dei seminaristi concessa ad uso militare dal Cardinal Giulio Boschi, Arcivescovo di Ferrara, fu velocemente riadattata ad uso ospedaliero. La “riparazione” del malato, un ulteriore aspetto terapeutico, era sostenuta dall’impiego di elementi naturali, ampiamente presenti in quel contesto: luce, aria, vegetazione, i mezzi più elementari e più sani per un risveglio dell’attività psichica, prostrata ed assopita, puntando su elementi psichici antagonisti rispetto a quelli perturbatori.


L’istituto era fornito di gabinetto diagnostico, sale per idroterapia, fototerapia, chinesiterapia, termoterapia, elettroterapia, sia con correnti faradiche che galvaniche, aeroterapia, laboratori per ergoterapia, una farmacia, una scuola elementare, una piccola chiesa. Numerose erano anche le attività definite dalla ergoterapia, quale metodo curativo complementare, atto a coniugare attività lavorative, con il relativo impegno fisico, a quelle terapeutiche psicosociale e psichiatriche.


Così, nei diversi laboratori attrezzati venivano esercitate l’orticoltura, il giardinaggio, la falegnameria, la sartoria, la calzoleria e la meccanica, che consentirono di realizzare il primo embrione di un laboratorio per le protesi funzionali (apparecchi tutori).


Inoltre attività di fotografia, pittura (si ricorda in questa epoca il ricovero, presso l'Ospedale Militare, di Giorgio de Chirico e Carlo Carrà, che, durante la degenza, diedero impulso al movimento della Metafisica proprio dipingendo le tele più iconiche a Villa del Seminario) e attività ricreative. Era presente un teatrino, si giocava a bocce, a croquet, a tamburello, e si praticavano attività sportive, anch’esse ergoterapeutiche, come l’equitazione, ed il canottaggio e la barca a vela sul Po di Volano.


Il Comitato pro-mutilati funzionali, del quale faceva parte anche la moglie di Boschi, Contessa Maria Boschi Giglioli, si occupò dell’estetica del luogo: la cura degli arredi, le piante ornamentali, gli arazzi, e delle attività di sostegno ai mutilati funzionali. Lo stesso Boschi affermava che “nutrire un’attitudine estetica impartiva a sua volta un’estetica, uno stile, un ordine, alla condotta”.


Nel giugno 1916, in una pubblicazione del “Giornale di medicina militare” dal titolo “Per una medicina di guerra come specialità”, Boschi esprimeva concetti ancora attuali: “Badiamo bene a non lasciarci autosuggestionare dalla seducente utopia che questa che si combatte sia “l’ultima guerra”…è di indole biologica la constatazione che la odierna evolutezza morale dei popoli non è superiore alla civiltà della guerra, né pare prossima a superarla; onde vien fatto di credere che la guerra sarà una crisi funzionale per lunga epoca ancora propria delle civiltà contemporanee”.
Molteplici furono i casi clinici che qui vennero risolti: casi di nevrosi traumatica, nevrastenia, psicastenia, mutismo, ecoprassia, alalia, casi di lesioni traumatiche organiche e funzionali del sistema nervoso, a volte associate ad alterazioni su base psicogena.
L’equipe medica era composta dai Capitani Andrea Ghillinie Aniceto Nibbio, e dai Tenenti Vincenzo Neri, Corrado Tumiati e Oreste Bonazzi.