Il contesto giuridico (1910-1920)
Il decennio tra il 1910 e il 1920 rappresenta una fase di intensa trasformazione per il diritto penale e processuale italiano. In questo periodo si consuma il passaggio dall’impianto codicistico post-unitario alle prime grandi riforme, tra cui spicca l’adozione del codice di procedura penale del 1913 (cosiddetto "codice Finocchiaro Aprile"), che introduce diverse novità nell’organizzazione del processo penale.
Dal punto di vista culturale, il panorama continua a essere segnato dal confronto fra due grandi correnti: la scuola classica e la scuola positiva. La prima, di cui facevano parte giuristi come Alessandro Stoppato e Luigi Lucchini, valorizza la libertà dell'individuo e il principio di legalità, nel solco della tradizione liberale di Beccaria e Carrara. La seconda, promossa da autori come Enrico Ferri e Eugenio Florian, pone l'accento sullo studio scientifico del criminale, indaga sulle cause psico-sociali del reato, afferma l'importanza della difesa della collettività e del problema della pericolosità del delinquente, in linea con l'attenzione positivista all'integrazione delle "nuove scienze" nel campo del diritto penale.
Al fianco di queste due scuole, si iniziano ad affermare anche la scuola tecnica e la scuola eclettica, che si propongono di superare la polarizzazione tra approccio classico e positivo. L’eclettismo, di cui fu seguace Guglielmo Sabatini, tende proprio a combinare elementi delle due correnti principali, accogliendo l’attenzione per la pericolosità sociale e le esigenze di difesa collettiva, ma cercando di conciliarli con il rispetto per i principi fondamentali del garantismo liberale. La scuola tecnica, invece, i cui fondatori sono i fratelli Rocco e Vincenzo Manzini, punta alla costruzione di un sistema giuridico rigoroso, fondato sull’interpretazione scientifica della norma, utilizzando categorie dogmatiche del diritto civile. Pur partendo da una formazione non certo ostile alla scuola classica, gli esponenti del tecnicismo finiranno poi per avallare ed essere promotori di una legislazione penale improntata alla difesa sociale e alla repressione, che culminerà proprio con l'approvazione, nel 1930, del codice Rocco.
È in questo contesto che maturano gli scritti giuridici di Giacomo Matteotti: inizialmente concentrati sul diritto penale sostanziale e sui temi della recidiva e della pena carceraria, per poi evolversi in una profonda riflessione critica sulle forme processuali, sulla struttura del giudizio penale e sul ruolo della Cassazione.
Il quadro giuridico che emerge dalle sue opere è quello di un sistema attraversato da ambiguità normative, nonché da contraddizioni e criticità giurisprudenziali e dottrinali. In questo contesto, Matteotti, senza mai abbandonare il suo distintivo spirito critico, sostiene un’interpretazione della norma rigorosa, sempre ancorata alla lettera della legge, ma non per questo "arida e inanimata" o compiacente nei confronti degli indirizzi maggioritari.